Enrico Crispolti
Una forma che si spettacolarizza in fluenza organica
Suppongo di aver incontrato per la prima volta la scultura di Franco Ciuti in occasione della sua personale romana nella Galleria Due Mondi all’inizio del 1975, quando proponeva terrecotte e bronzi ove una movenza organica dinamica interrompeva, fino a volte a trasformarle, entità plastiche altrimenti d’impianto vagamente stereometrico. E così si è riproposto a Milano, nella Galleria di Ada Zunino alla fine dello stesso anno, presentato in catalogo da Cesare Vivaldi. Che sottolineava come nella scultura “una solidità d’impianto” coesistesse “col più drammatico dinamismo e la purezza di forme elementari con un’intensità espressiva ai limiti del barocco”.
Una trentina d’anni di lavoro aperto a esperienze diverse, ma ritornanti nei momenti di maggiore intensità e originalità su un’attrazione immaginativa per la fluenza organica della forma, hanno offerto la possibilità di cogliere quanto mi sembra maggiormente caratterizzare gli interessi immaginativi dello scultore romano. Al punto di suggerire, mi sembra con sufficiente chiarezza, la ricorrenza, che spesso si fa esplicita manifestazione, di un nucleo di personale “poetica” nella gestione di una progettualità plastica che fonda il suo fare di scultore, e dunque l’identità dei suoi interessi immaginativi.
Un nucleo di personale “poetica” plastica la cui presenza proprio le opere quasi tutte recentissime che qui propone suggeriscono in misura molto convincente. E che peraltro si fonda su una crescita estensiva, sia attraverso i tempi d’evoluzione (anche a volte apparentemente disparata) del suo lavoro in questi decenni, sia attraverso una progressiva liberazione di quella originaria espansiva frattura organica, probabilisticamente dinamica, di una forma altrimenti chiusa in una statica calibratura stereometrica (era stata negli anni la grande proposizione immaginativa del Somaini immediatamente post informale, nel corso degli anni Sessanta, prima di orientarsi in prospettive d’operatività conflittuale urbana). Una crescita estensiva di quella componente di fluenza organica, determinante già appunto una trentina d’anni fa il senso del suo lavoro plastico.
Infatti quell’energia che sommoveva dinamicamente allora la forma si è fatta spesso nel lavoro successivo, e recente, e recentissimo, di Ciuti, e vario modo, ma anche del tutto radicalmente, protagonista di una fluenza che si apre e accampa in un dialogo spaziale che, insomma si fa forma aspirante a fluenze spaziali.
Nelle sculture che qui presenta, “a tutto tondo” distinte cioè dai “rilievi” a parete (ove la fluenza organica traversa come sciame segnico-plastico, altrimenti ordinate campiture), ha persino immaginato la possibilità di esplicitare il senso dell’aspirazione spaziale di tali fluenze plastiche inserendole, in bronzo come sono, entro forme trasparenti (in metacrilato), capaci di fisicizzare in certo modo, plasticamente, la qualità quasi acquea, d’una agibilità spaziale.
Ecco che allora mi sembra evidente come si possa intendere quale sia il maggiore interesse immaginativo che muove la progettualità plastica di Ciuti nei suoi momenti di maggiore libertà e felicità realizzativa, e di maggiore caratterizzazione personale dei risultati del suo lavoro plastico. Esattamente un vivissimo interesse per una dimensione della forma sostanzialmente riconoscibile nella sua capacità di spettacolarizzarsi. Insomma per una forma che si afferma in quanto si spettacolarizza, e direi dunque per la realizzazione di eventi di possibilità di forma plastica che si autorappresenti, proprio esercitando una insita capacità di spettacolarizzazione.
Le sue sculture più convincenti mi sembrano infatti proprio quelle ove un evento formale si autorappresenta, insinuando suggestioni di un’affluenza e fluidità organica della forma stessa, in una sorta di remota nostalgia della libertà del gesto e della espressività della materia, dello spazio e dell’alternanza dinamica tra pieno e vuoto.
E se la fluenza della forma, la sua virtuale fluidità infine s’impongono come la maggior pertinenza immaginativa che muova il fare plastico di Ciuti, e poi attraverso una quantomeno implicita dialettica che quell’estrema ragione di organicità può dialetticamente manifestarsi ricorrendo anche appunto a suggestioni materiche (come nel grande bronzo verticale, nel cui lucido cilindro esterno racchiude un’organicità materica interna, con la perentorietà d’ostensione totemica delle “ferite” che praticava l’ultimo Leoncillo). Come appunto avviene nei “bassorilievi” che Ciuti qui propone, pure recentissimi. E così si comprende anche come quella fluenza dinamica possa rivendicare l’eredità sottile di un’ascendenza remota dell’ “intensità espressa ai limiti del barocco”, richiamata appunto trent’anni fa da Vivaldi.
Enrico Crispolti